Lotta politica inglese

«Il Socialista», a. II, n. 8, 16 giugno 1945, p.1.

LOTTA POLITICA INGLESE

La guerra d’Europa è finita, l’attenzione che prima si portava tutta sull’unico problema della sconfitta tedesca e fascista, torna adesso sui problemi piú complessi e forse meno urgenti della sistemazione internazionale e dell’assetto politico e sociale dei singoli stati. Interesse tanto maggiore quando si tratta di uno dei paesi vincitori, il cui atteggiamento di politica interna non può non ripercuotersi nella sua politica estera. È il caso della lotta politica in Inghilterra aperta con il nuovo gabinetto provvisorio conservatore, con il discorso di Churchill e con la risposta di Attlee per i laburisti. Il Churchill che in questi ultimi anni ci era apparso come uno dei difensori piú strenui della libertà antinazista, che milioni di uomini oppressi hanno ascoltato dalle loro radio con fiducia e speranza, si ripresenta ora in un aspetto che potrebbe deludere i piú ingenui e mostrarsi in contrasto con l’idea piú generosa che si erano fatti di questa grande personalità politica. In realtà il conservatore accanito del primo discorso elettorale è in coerenza con il difensore di una democrazia tradizionale saldamente affermata. Ma l’aspetto odierno deve ben chiarire di quale democrazia Churchill e gli uomini, se pur grandi, della sua mentalità, intendono parlare. Una democrazia di immobilità sociale, sorretta da una borghesia potente e veramente libera, padrona dell’economia e quindi dei mezzi piú efficaci di propaganda e di potere politico, una democrazia borghese che concede alle classi sfruttate miglioramenti allo scopo di mantenere il proprio dominio senza pericolo di urti rivoluzionari, una democrazia insomma illusoria e che sfrutta in un paese di alta tradizione liberale come quello inglese il sano desiderio delle libertà individuali che essa assicura solo a patto di mantenere le sorgenti del proprio effettivo potere.

Nulla di strano quindi che Churchill si sia scagliato a testa bassa contro il socialismo in genere appellandosi da una parte alla presunta incapacità organizzativa economica del proletariato e dall’altra al timore di una dittatura di sinistra. Quale sconfinato amore di libertà da parte di una classe che solo a denti stretti ha ceduto a poco a poco di fronte alle rivendicazioni operaie piú immediate, e che dovunque ha potuto, ha appoggiato ed appoggia le forme democraticissime delle varie correnti monarchiche italiane, greche ecc.! Quale sensibilità squisita in una classe che, come giustamente osservava il «New Statesman and Nation», costituisce una specie di internazionale reazionaria attualmente piú efficace di tante passate internazionali di lavoratori!

Attlee ha risposto indicando l’ottima prova di governi laburisti e socialisti nei paesi scandinavi e in alcuni dominions inglesi e rilevando le tradizioni tutte democratiche del socialismo inglese. E i socialisti italiani, francesi, europei in genere possono aggiungere che proprio sotto i segni del socialismo sta faticosamente risorgendo la libertà in Europa: quella libertà concreta e piena che parte da una eliminazione dello sfruttamento capitalistico e che sorge in contrasto e malgrado la falsa libertà privilegiata della classe che in Inghilterra ha parlato per bocca di Churchill. Tanto che appare sempre piú evidente come la vittoria dei laburisti inglesi sarebbe vittoria della libertà, non solo in Inghilterra, ma in Europa. E possibilità di pace che non si ottiene aizzando i nazionalismi o contrapponendo sistemi irriducibilmente avversi, ma creando una base comune di interessi popolari: base che solo il socialismo può costruire.